Atene brucia

2017, Museo dell’arte Classica, Università degli studi La Sapienza

Museo dell’Arte Classica, Università degli Studi La Sapienza, Roma | Dal 6 maggio al 30 giugno 2017
A cura di Maria Arcidiacono con la collaborazione di Tommaso Zijno

FINO A QUI TUTTO BENE

Il lavoro di Alessandro Calizza negli anni recenti si è focalizzato su temi di denuncia, utilizzando sovente un repertorio iconografico che evoca il mondo classico, variandone tono e significato con interventi caratterizzati da una personalissima cifra ironica.
La raccolta del Museo dell’Arte Classica è stata fonte di ispirazione pressoché esclusiva di alcuni suoi lavori pittorici recenti, una serie di opere il cui progetto si sviluppa su più registri: le opere d’arte antica vengono mostrate in disfacimento, o con danni e ferite provocate dall’uomo e da agenti esterni dovute anche ai cambiamenti climatici; l’ineluttabilità del destino di alcune di esse le consegna a una sorta di condizione rassegnata che contrasta con la loro origine intrisa di epica e sacralità. Il contrasto con la vivacità dei colori sottolinea la superficialità con la quale si tende ad assistere a fenomeni sempre più gravi di generale declino, ma, nel contempo, evita di indugiare nel pessimismo e lancia un segnale d’allarme, un’esortazione a non cedere passivamente alla rinuncia.
Calizza attinge all’antico per raccontare un aspetto endemico del nostro tempo, quella paura che fagocita e rende insensibili. All’artista interessa rappresentare il momento nel quale la negligenza si trasforma in ingiustizia e la statua è lì, nella sua monumentalità eterna a mostrare le nuove ferite, accennando un monito che il più delle volte non viene raccolto, il mondo che passa accanto, non cogliendo il segnale, finisce per subire le conseguenze senza nemmeno accorgersene, come nel paradosso della rana di Noam Chomsky. Ma, nella volontà inflessibile dell’artista, ricusare ogni coinvolgimento diventa più difficile quando l’irruzione chiassosa del colore, sia esso campitura o guizzo appena accennato, costringe inevitabilmente all’attenzione. 
L’apparire di forme mostruose, ingentilite da un colore fiabesco, quasi disneyano, trae volutamente in inganno, l’uso impudente del pennarello o dello spray non sono che richiami intenzionali al superamento delle apparenze. La frode si nasconde nella familiarità del colore violetto di quello che sembra un innocuo mostriciattolo, la presenza irriverente di una scritta d’amore accanto a una Centauromachia smaschera la necessità insana dell’essere umano di trovare un nemico, con la stessa ansia febbrile con la quale cerca l’anima gemella della quale prendersi cura. Il potere, ovunque, nel suo manifestarsi, diffonde una malattia virale che non risparmia neanche gli ambiti più strutturati, persino quelli istituzionali, preposti ad arricchire l’animo umano o a combattere abusi e sopraffazioni.
Questa è la denuncia di Calizza, unita alla volontà di indurre il visitatore ad abbracciare passato e presente con occhi disincantati e ironici, con uno sguardo consapevole, mai incline alla disillusione. Come la sottolineatura di un evidenziatore colorato, l’artista distoglie dall’abulia di una visione acritica e passiva, punta a far luce sulle contraddizioni del nostro tempo, esortando al cambiamento, motivo vitale per tutti. 
La scelta della Gipsoteca del Museo dell’Arte Classica per esporre questa ricerca nasce non solo perché la sua rinnovata e accogliente sistemazione si presta a un’inedita versatilità rispetto ad altri musei di analoga impronta scientifica, ma soprattutto perché rappresenta la collocazione ideale per consentire ad Alessandro Calizza di restituire ciò che la storica raccolta ha donato al suo recente percorso artistico.
Maria Arcidiacono

Atene brucia

ALESSANDRO CALIZZA E L’INNOVAZIONE CHE NASCE DAL PASSATO

Alessandro Calizza è un amico oltre ad essere un artista per cui nutro grande stima. Ho avuto il piacere di lavorare con lui per diversi progetti in questi ultimi anni, così da poter osservare l’evoluzione del suo percorso, sia da un punto di vista tematico che tecnico. Partendo dalle prime nature morte, allegorie della condizione sociale che viviamo, logora e sempre più vicina al collasso, alla sua raccolta d’incisioni d’epoca, su cui interviene inserendo personaggi e situazioni surreali, alle tele e alle sculture, dalle cromie forti e inconfondibili, raffiguranti teste e busti di statue classiche nell’atto di liquefarsi o sgretolarsi; tutta la sua produzione ci appare permeata da una profonda riflessione critica sulla nostra contemporaneità, nonché caratterizzata da una grande varietà di mezzi espressivi per veicolarne il messaggio. Alessandro, però, non ha solamente saputo spaziare tra tematiche di ampio respiro, ma è anche riuscito ad innovare nel campo dei media pittorici, introducendo lo spray acrilico accanto al carboncino o mixando pennello e colori a spirito (i pennarelli per bambini), per dar vita alle vivide ombreggiature dei suoi soggetti. Peculiare del suo modus operandi è poi l’utilizzo del nero “pieno”: osteggiato spesso e volentieri nei discorsi accademici, nel lavoro di Calizza è alla base di quel passaggio tonale da zone in completa luce a zone di assoluta oscurità, che rende le sue opere immediatamente riconoscibili. Tutto nel suo lavoro è inoltre connesso a ciò che l’ha preceduto ed ogni opera ci appare come la naturale evoluzione di un discorso logico e perfetto: sembra seguire un invisibile filo color magenta che lega assieme la sua vita personale, la sua romanità e il suo percorso artistico. Proprio queste connessioni l’hanno portato a confrontarsi con l’arte classica, ben presente nella città eterna in cui l’artista è nato e cresciuto. Emblematico è un episodio in cui il giovane artista, ancora bambino e in visita ai Fori, soffermandosi di fronte alle marmoree sculture degli imperatori romani, si poneva un emblematico dilemma: come poteva essere possibile che degli uomini così “grandi”, così importanti potessero apparire al contempo tanto inermi da non riuscire a reagire ad un piccione che depone i propri escrementi sul loro volto. Questo, come molti altri episodi del suo imprescindibile background l’hanno condotto a riflettere sulla nostra condizione esistenziale, in relazione ai fasti e alla grandezza della civiltà classica. Oggi giorno l’eccessiva bramosia d’innovazione rischia di far perdere di vista l’importanza e il senso di ciò che si sta producendo e di ciò che è stato prodotto, relegando anche il fare artistico ad un’operazione meccanica, in cui la forma prevale sul contenuto. La storia dell’arte, con il suo bagaglio iconografico e iconologico, è la base da cui ogni artista dovrebbe partire per riuscire a creare qualcosa di nuovo, plasmando e rielaborando la tradizione sulla propria individualità. Alessandro Calizza riesce a fare ciò utilizzando icone e simboli della cultura del passato, rileggendoli in una chiave innovativa, veicolata da una vigorosa cifra espressiva, per sottolineare come la nostra epoca stia di fatto distruggendo quanto di bello e importante sia stato conquistato fino ad ora; ma nel contempo ci esorta a reagire, lasciando a noi la scelta del ruolo da recitare in questo teatro che è la vita: se vittime, complici, passivi spettatori o rivoluzionari protagonisti.
Tommaso Zijno

Crediti fotografici: Eugenio Corsetti e Francesca Romana Guarnaschelli per Laboratorio Fotografico Corsetti; Paolo Landriscina