Don’t let them catch us

2013, Galleria Opera Unica

A cura di Carlotta Monteverde
Marzo 2013 | Galleria Opera Unica, Roma

DON'T LET THEM CATCH US - 100x150 cm - acrilico spray e carboncino su tela - 2013ay e carboncino su tela

I due paradigmi all’interno dei quali si libera la poetica di Alessandro Calizza sono i codici antitetici della parabola, intesa come racconto esemplificativo ed insegnamento “morale”, e del videogame, simulazione in potenza dinamica, di cui eredita la logica consequenziale a tappe e l’impostazione concettuale, resi struttura organica grazie ad un linguaggio, quello del Pop Surrealism, in grado di sintetizzare armonicamente entrambe le esperienze. La figurazione che si sviluppa entro tali confini procede al recupero della “buona pittura”, contaminata da un immaginario iperpopolare e globalizzato, sublimato tra impegno sociale e viaggio mentale.

Le sue visioni impreviste ed emblematiche sono metafore iridescenti, provenienti dal sogno e dal patrimonio genetico collettivo, di un quotidiano comune, con le sue contraddizioni, conquiste ed illusioni; ogni tela è una storia, breve cammino di risveglio ed autoconoscenza. Riallacciandosi all’eredità teorica di Lessing, la pittura è concepita come strumento di sollecitazione all’immaginazione, richiesta all’osservatore di essere parte attiva per decifrare l’enigma: essa ci guida attraverso una serie di prove, simbolo di vissuto ordinario, mezzo per riesaminare il nostro essere al mondo, mettendoci in contatto con noi stessi. Il punto di arrivo di questo percorso ideale di scoperta individuale è la crescita personale, nella verifica di riscatto e nell’accettazione di fallimento. La tesi da cui parte è semplice: considerare indissolubilmente intrecciati pubblico e privato, dove ogni piccolo passo interiore produce un riflesso sul mondo esteriore, e viceversa. Dove la realtà viene percepita come entità non oggettiva, orizzonte filtrato attraverso i nostri occhi e le nostre coscienze e conoscenze. Dove la costruzione dell’io diviene tassello di costruzione di socialità.

Snub, personaggio/avatar che incarna facoltà di decisione e scelta, ne è il protagonista, e l’itinerario che di volta in volta deve affrontare viene suggerito nei titoli, chiavi di lettura, concetto e timone. Funzionali alla narrazione, nuovi elementi sono comparsi nel tempo: presenze fantasmiche-quotidiane, definizione presa in prestito ribaltando le delimitazioni concettuali che Savinio diede agli oggetti del fratello Giorgio. Vermi animati, che insinuano dubbio ed enigma; imponenti funghi, simbolo, nella loro incapacità intrinseca di spostarsi, dell’impossibilità di vivere come si pretende. Interpreti di avventure sempre nuove, questi attori si muovono in ambientazioni prettamente naturalistiche, appropriandosi di una dimensione che non ci appartiene più.  Le scene svolgono un ruolo importante sia nella concatenazione degli eventi che nel creare atmosfere sospese e stranianti, dominando in molti dipinti quasi completamente lo sguardo. Valli desertiche o articolati scenari debitori dell’arte del Rinascimento; caverne e fughe prospettiche; oppure distese sassose e imponenti baobab che spuntano dal mare, rigidi e frontali. Nei paesaggi la linea sinuosa diviene dura, le forme scolpite decisamente nella roccia, corpi solidi in un mondo di sogno. Simboli ed enigmi compaiono o si nascondono tra la scenografia: chiavi, peluche, anfore, dadi, specchi; sono aiuti, indizi, strumenti da sfruttare per “superare il livello”.

L’opera che presenta per questa occasione si intitola Don’t let them catch us, quadro animato che, attraverso minimi o impercettibili movimenti, realizzati grazie alle videoproiezioni curate da Simone Memè, sfrutta le illusioni della percezione fisica per descrivere la nostra incapacità di cogliere una realtà pura, in una continua incongruenza tra ciò che realmente è e ciò che ne intuisco. In uno scenario quasi marziano, abitato da lunghi vermi variopinti, tra sassi che volano proiettando dense ombre e liane che spuntano dal terreno; in questo mondo “parallelo” che sembra andare al contrario, è dato interrogarsi sulle costrizioni cui siamo continuamente sottoposti, su disinganno e trasformazione. Racconta al riguardo l’artista: “non lasciare che ci prendano è inteso come primo passo per poter reagire a un sistema (sociale, culturale, familiare, personale) che non condividiamo… la priorità è non restarne vittima, da lì si può iniziare a pensare ad una strada alternativa da percorrere, la propria, quella che si desidera davvero … solo che appunto per avere questa occasione bisogna innanzitutto eludere quel sistema (da dentro o da fuori), liberandosene”.

Usando gli strumenti dell’ironia e del doppio registro di senso, i quadri di Alessandro Calizza trasformano le metafore pop-surreali in visione interiore e rafforzativa. Se si è disposti a credere a ciò che si vede, ogni incontro con una sua opera è possibilità di progresso, viaggio nell’inconscio, scoperta, dubbio, critica costruttiva, necessità di smantellare sovrastrutture, incapacità, paure. 

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